domenica 30 dicembre 2018

Davvero la Bibbia comanda alla donna di velarsi il capo quando prega o profetizza?


"Nelle questioni di fede e scienza sono più impressionato da una evidente ragione o da un autorevole passaggio delle Sante Scritture comprese correttamente che dal coro unanime degli uomini. Non mi vergogno di essere convinto dalla verità, infatti avere la verità vittoriosa su di me è la cosa migliore che possa accadermi. Né voglio mai essere sopraffatto dalle moltitudini: si può infatti leggere nelle Sacre Pagine che la moltitudine, in genere, si sbaglia, e che molto spesso un solo uomo può mettere tutti gli altri in fuga”. (Guglielmo di Occam, 1285 – 1346) 

Quanto segue è una trattazione inedita, almeno in Italia, di una delle controversie più incandescenti che periodicamente si riaccende tra gli evangelici italiani per farli azzuffare, quella di 1 Corinzi 11, la famigerata “questione del velo” (Fonte).

La sua novità sta nella sua vetustà. Ovvero nell’utilizzo di una antica versione della Bibbia della quale, nella più completa indifferenza si è celebrato nel 2011 il quattrocentesimo anniversario della pubblicazione. Sto parlando della Versione Autorizzata (AV) inglese (ribattezzata nel ventesimo secolo King James Version).  

Ancor più antico il principio “filosofico” applicato, il Rasoio di Occam 1 , formulato nel XIV secolo da Guglielmo di Occam, che è un espressione forbita per definire quello che alla fine della fiera non è altro che il semplice buon senso. 

Il lettore sarà chiesto perché l’uso di una Bibbia in inglese e poi così antica. La scelta non è così eccentrica come potrebbe sembrare. Le varie trattazioni di questo spinoso argomento disponibili (e non solo di questo putroppo), sono infarcite di ricorsi all’originale greco, con ognuna che costruisce la tesi sull’opinione dell’autore sul significato di una parola greca piuttosto che di un’altra. Ci si domanda che affidabilità poi può dare una versione della Bibbia se la sua traduzione è oggi ancora così incerta da necessitare sempre il ricorso all’originale e alla spiegazione di un alto prelato evangelico che ci riveli ogni volta il suo “vero” significato, dato quello che si legge nella propria Bibbia è inesatto nel caso migliore e completamente errato in quello peggiore (neanche tanto infrequente). E tutto questo alla faccia della tanto decantata “inerranza” delle Scritture2. 

Immancabile poi è il ricorso alle fonti extra-bibliche, con una campana che si appella, ad esempio, al fatto che “le prostitute allora si riconoscevano dai capelli lunghi sciolti e scoperti” e l’altra che invoca l’esatto contrario, “le prostitute si riconoscevano dai capelli rasati”. Anche questo inoltre spudoratamente alla faccia del tanto sbandierato principio della “sufficienza della Scrittura”. 

Dove trovare quindi una versione affidabile? 

Se c’è una versione della Bibbia che ha portato frutti durevoli più di ogni altra, che ha superato indenne le intemperie del tempo e gli assalti degli studiosi increduli e apostati e ahimè, nell’ultimo secolo anche quelli dei sé dicenti ortodossi, quella è la Versione Autorizzata inglese. Una Bibbia che è stata il faro, quella “lampada ai piedi e luce sul sentiero” della Civiltà Occidentale negli ultimi quattro secoli. Forse l’idea di fare appello ad essa non è poi così balzana, dopotutto.  

Una legittima obiezione è ovviamente, “ma perché in inglese? e poi io non lo capisco!”. L’inglese è, se non la più parlata (questa è il cinese), di certo la lingua più conosciuta e compresa (e la ragione di questa diffusione si può ricondurre all’influenza della AV). Non è difficile trovare qualcuno che lo capisca, quantomeno l’inglese elementare (checché ne dicano i detrattori) della AV. Al contrario, il greco e l’ebraico biblici a cui spesso si fa appello, sono difficili da apprendere, in particolare l’ebraico, e li conosce con competenza solo una ristretta cerchia (stavo per scrivere “casta”) di sé dicenti studiosi, che hanno pure la presunzione di conoscerli meglio dei traduttori della Riforma.

Ma se si guarda alla storia della traduzione della Versione Autorizzata, al carattere e alla preparazione di quei 47 studiosi che compirono la titanica opera, giganti sia nell’erudizione che nella sfera dello spirito, con molti che conoscevano fino a venti lingue, uomini che parlavano, che pensavano sin dalla fanciullezza in greco ed ebraico con le sue lingue cognate (siriaco, persiano etc.), che conoscevano le lingue europee e le traduzioni già disponibili (tra le quali la prima edizione della nostra Diodati), se si guarda al capolavoro letterario ma soprattutto spirituale la cui portata si estende ancora ai nostri giorni, non ci si può non domandare se i “doni migliori” per l’età moderna non siano stati i “doni di lingue e interpretazione” di cui questi maestri abbondavano. (“doni migliori” 1 Cor 12:31, AV ovviamente) e se in confronto gli studiosi contemporanei che spesso e volentieri criticano l’operato di quei geni non siano invece dei pigmei che scagliano stuzzicadenti contro dei giganti, per non parlare poi degli “esperti di greco” della domenica. Perché quindi non trarre vantaggio anche noi da questi loro doni? 

 Le traduzioni della Bibbia in lingua inglese che si sono da allora succedute non hanno mai raggiunto le vette della AV, e tutte inesorabilmente sono finite (o finiranno) nella discarica della storia. E per quanto riguarda il passaggio qui trattato, si inseriscono praticamente tutte nel solco tracciato dalla AV. Non se ne sono discostate perché la “arcaica e vetusta” AV le ha anticipate di quattro secoli, dimostrandosi più moderna che mai. 

Quando qualche anno fa è stato tradotto in Italiano il Commentario di Matthew Henry, una recensione entusiasta ne decantava i pregi e i meriti, ricordando l’influenza avuta sul linguaggio e la cultura inglese, sia ecclesiastica sia secolare, e rallegrandosi per la disponibilità di quell’opera nella nostra lingua. Cosa dire allora della AV che di pregi e influenza ne ha avuti e ne ha molti ma molti di più, e che poi è stato il testo sul quale Henry commentava? Perché quindi il Matthew Henry sì e la AV no? La scontata risposta che viene data è perché tutte le versioni, almeno quelle “protestanti” dicono le stesse cose, e pur con qualche “insignificante” variante la dottrina è la stessa. 

Risposta ingenua ma errata. Il passaggio di 1 Corinzi 11 è un solare controesempio. 

Il testo della Versione Autorizzata (d’ora in poi AV) di 1 Corinzi 11, traduzione che risale agli inizi del XVII secolo, fatta quindi in tempi assolutamente non sospetti, è sorprendentemente chiaro e coerente, diversamente da quanto succede in italiano.

Infatti, se guardiamo come è stato tradotto quel passaggio nella nostra lingua, troviamo già delle differenze importanti. Nell’equivalente in italiano della AV, la Diodati, troviamo il verbo “velarsi” al posto dell”inglese “to cover”- “coprire “e il sostantivo “velo” al posto dell’inglese “covering” – copertura. La AV propone tuttavia le stesse parole, “velarsi” e “velo” ai margini come traduzione alternativa. L’espressione inglese “long hair”, lunghi capelli, lunga capigliatura, è sostituita nella Diodati con la vaga “chioma”, e “glory” con ‘”onore”. Tuttavia la costruzione grammaticale è parallela, cosa che non succede nelle successive traduzioni italiane.

Infatti già nella Riveduta di Luzzi3 troviamo una significativa variazione, e cioè il verbo diodatino “velisi” viene trasformato in sostantivo con le esplicite espressioni “si metta un velo” e “senza avere il capo coperto da un velo”. Viene da pensare che invece di dedurre la dottrina dal testo, qui sia successo l’esatto contrario. Può far sorridere ricordare che il nome del padre spirituale di Luzzi, il teologo tedesco Friedrich Schleiermacher, padre del modernismo e liberalismo teologico, in italiano significa fabbricatore di veli!

La Nuova Riveduta non è né carne né pesce: troviamo infatti un compromesso tra il “velo” della Luzzi e la “copertura” della Diodati e Nuova Diodati4, che contribuisce se possibile a confondere ancora di più le idee.

Una prima perplessità nasce dal requisito del versetto 5, il “capo scoperto” o “senza essere velata”:

“Ma ogni donna che prega o profetizza col capo scoperto , fa vergogna al suo capo (uomo) perchè è la stessa cosa che se fosse rasa”

Ma se guardiamo innanzitutto il verso precedente:

Ogni uomo che prega o profetizza avendo il suo capo coperto, disonora il suo capo (Cristo)

dovrebbe essere chiaro che questa “copertura” che l’uomo non deve portare è della stessa natura della “copertura” che la donna deve portare. Infatti nel mondo anglosassone le donne in chiesa generalmente non indossa(va)no un velo, ma un cappello. E gli uomini per contro, entrando in chiesa il cappello se lo leva(va)no.

Questa sorprendente differenza di comprensione merita un approfondimento. Non è quello di 1 Corinzi 11 un insegnamento universale? Velo? Cappello? … o nessuno dei due? E inoltre, solo in chiesa o … sempre?

Iniziamo da questa seconda questione. Fuorviati dal titolo che questo passo ha generalmente nelle nostre Bibbie “Contegno della donna nella chiesa” , si è portati a concludere che la copertura sia un requisito limitato all’assemblea. Ma questo “titolo”, aggiunto dai traduttori per riassumere il contenuto del passaggio (e di fatto imponendo la loro veduta), non fa parte delle Scritture, può darsi che chiesa fosse inteso come appartenenza piuttosto che assemblea comunque sia il titolo è in sé ambiguo e il secondo significato ha prevalso.

Paolo inizia a parlare del “Quando vi radunate” solo dal verso 17. Non c’è nulla in questo passaggio che indichi che questo insegnamento sia limitato nello spazio e nel tempo. Pregare e profetizzare sono attività che ben travalicano il recinto del “locale di culto” e dell’orario domenicale. Di pregare, ad esempio, ci è comandato di non cessare mai di farlo (1 Tess. 5:17). Non dimenticherò mai la scena di una donna dell’est Europa, che all’atto di pregare per il cibo afferrò una salvietta di carta e se la mise goffamente sulla testa! Il quadretto era un po’ ridicolo, ma almeno era coerente con l’insegnamento ricevuto.

Le conseguenze logiche di questo indebito “solo in chiesa” non sono state mai prese in considerazione come si sarebbe dovuto. Guardate per esempio alla chiesa dei Fratelli, dove alle donne viene vietato di pregare e profetizzare proprio nel solo momento e luogo in cui sarebbero autorizzate a farlo. Non è assurdo? E inoltre prendete il verso 7 “Perciocché l’uomo non deve velarsi il capo” (Diodati).

Anche qui, dove e quando? Ancora “solo in chiesa”?

Ma se è così, scivoliamo nel ridicolo perché l’inevitabile conseguenza logica è che noi uomini fuori dalla chiesa potremmo, anzi dovremmo metterci quello stesso “velo” che le donne si mettono dentro la chiesa. Non si scappa, la coerenza l’impone, e gli anglosassoni lo dimostrano, risolvendo il dilemma con il “cappello”.

Dovrebbe ora esser chiaro che che la copertura in gioco, qualunque essa sia, non è affatto limitata all’assemblea. Respingere questa tesi porta alle assurde conseguenze che ho illustrato sopra.

Veniamo ora alla prima questione, e cioè la natura di questa “copertura”.

Dice il versetto 10, nella Nuova Diodati, Riveduta e Nuova Riveduta: Perciò la donna deve avere sul capo un segno di autorità. Anche qui notare la differenza tra le versioni. Un segno di non è parte dell’originale. La AV ha semplicemente power – potenza, mentre la Diodati parla di podestà5. Il punto cruciale qui è che viene subdolamente introdotto l’articolo indeterminativo un – “un segno di autorità/potenza” – “si metta un velo”, che porta acqua al mulino del fabbricatore di veli.

Anche qui il dubbio dovrebbe essere sorto che si tratti di qualcosa simile a quella trama di pizzo usata generalmente qui in Italia da ADI e fratelli. Ma supponiamo che lo sia. Se si è d’accordo che questa copertura andrebbe portata sempre sopraggiunge un fatto grottesco. E cioè si scopre che chi obbedisce coerentemente all’insegnamento biblico sono le suore e le mussulmane, mentre le donne evangeliche si trovano clamorosamente in stato di disobbedienza. Ancora assurdità e ridicolo!

Ma allora cos’è questa benedetta copertura?

Un cappello, come fanno gli anglosassoni? Ma anche se fosse un cappello non scioglieremmo comunque la questione di portarlo/non portarlo sempre. Se le donne dovessero indossarlo sempre allora io come uomo non dovrei portarlo mai, ma essendo quasi calvo, se nelle giornate di sole non me lo metto mi si cuoce il cervello!

Ma la risposta è sempre stata lì, probabilmente in tempi passati era troppo ovvia e semplice per poter essere ricevuta come spiegazione di un insegnamento così profondo.

Versetti 14 e 15, AV:

14 Doth not even nature itself teach you, that, if a man have long hair, it is a shame unto him?

15 But if a woman have long hair, it is a glory to her: for her hair is given her for a covering.

Riassumendo:

Copertura: 
Capelli Lunghi (Long Hair)

Scopertura: 
Capelli [tagliati] corti, Tosata, Shorn
O Capo Rasato (Calvizie), O Tonduta (Diodati), Or Shaven (AV)

Semplice eppure profondo. Una spiegazione che onora Dio, onora le Scritture e onora soprattutto le donne. È il Rasoio di Occam all’opera, ma non sui lunghi capelli delle donne.

Ed è in accordo pure con la natura (verso 14). Mi permetto di azzardare una parafrase:

“Voi donne vi piacerebbe essere calve? Certo che no! Istintivamente (natura) l’idea vi ripugna. Rivendicate il “diritto” di portare i capelli corti come vi pare (ovvero non volete coprirvi il capo con la vostra copertura naturale)? Va bene, rapatevi pure a zero se è per questo (versetto 6). Perché davanti a Dio le due cose sono equivalenti, ed equivalenti alla calvizie, che per voi è una vergogna e un disonore! Quindi copritevi, copritevi con la vostra lunga capigliatura, perché questa è la vostra GLORIA e POTENZA”.

Notare come la AV chiama la lunga capigliatura gloria della donna, completando così la catena descritta nel verso 7:

Uomo = gloria di Dio

Donna = gloria dell’Uomo

Lunghi capelli = gloria della Donna.

Una pronta obiezione è quella sulla “giusta” lunghezza dei capelli, che introdurrebbe una “regola” che si tradurrebbe presto in una tradizione umana. Personalmente, non vedo questo pericolo. Le donne sanno per istinto (la “natura!”) quando un uomo ha una capigliatura non consona alla sua dignità, e per contro sanno benissimo quando anche la loro tende al mascolino (anche se negli ultimi decenni, con la progressiva mascolinizzazione delle donne, questa sensibilità è andata via via scomparendo).

Quella stessa “natura” che insegna che negli uomini i capelli hanno una crescita limitata, 40-50 cm, mentre nelle donne possono arrivare anche a due metri. Ora una donna cristiana non deve certo farli crescere fino a quella misura. Il fatto che porti i capelli lunghi non vuol dire che … non li possa accorciare!  Siamo d’accordo che voler stabilire di quanto significa scadere nel farisaismo. Ma io credo che il Signore Dio abbia dotato ogni sua figliola di quel buon senso che le fa capire quanto il suo aspetto sia femminile. Ma se proprio si insiste per stabilire una regola e vogliamo un criterio biblico, eccolo:

“Care sorelle, portate i capelli tanto lunghi quanto occorre per lavare e asciugare i piedi al Signore Gesù come fece la peccatrice nella casa del fariseo” (Luca 7:37-50)”. Così anche i farisei sono serviti.

E a proposito di capelli e di “segno di autorità”, ricordo che diverso tempo fa lessi di un fatto sorprendente: negli ultimi 40-50 anni, quindi più o meno in coincidenza con l’avvento del femminismo, le donne in posizione di comando – di exousia – sugli uomini, hanno iniziato a soffrire di … alopecia! Proprio così, di perdita dei capelli! Quanto la dice lunga questo fatto!

Spesso sono proprio quelle donne che relativizzano o ignorano la parte per quello che riguarda i capelli lunghi per loro ad essere invece intransigenti per quella parte che riguarda i capelli lunghi per gli uomini. Ho portato i capelli lunghi per un certo un periodo nella mia vita. Naturalmente, queste stesse donne mi guardavano storto. Addirittura ci fu una di loro, anziana e con i capelli “cotonati”, che mi venne a dire di leggere proprio 1 Corinzi 11. Alla faccia della coerenza.

Cosa dire dunque della pratica del velo? Guardiamo cosa è successo e che effetti ha prodotto nelle chiese. E non parlo di quelle liberali o mondaneggianti, che hanno liquidato l’insegnamento di 1 Corinzi 11 qualunque esso sia con le argomentazioni relativiste tipiche dei modernisti, ma proprio di quelle conservatrici.

Una volta le donne, vero che portavano il velo, magari anche solo in chiesa, ma almeno sotto di esso conservavano la loro gloria. Che magnifica visione quella di una cristiana anziana con la sua gloria candida o argentata riversa sulle sue spalle!

Ma siccome non c’è limite al peggio, molte sé dicenti credenti moderne ne sono invece scandalizzate. Una volta mi è capitato pure di sentire che una cristiana anziana con i lunghi capelli argentati è una presuntuosa che vuole fare la ragazzina! A che punto siamo arrivati! A chiamare male il bene e bene il male! E così, galeotte le moderne versioni della Bibbia, il bell’insegnamento della lunga capigliatura è stato scacciato via ed è stato soppiantato dalla meschina tradizione cattolica del velo.

Tradizione: La tradizione degli uomini finisce sempre con l’annullare il comandamento di Dio (Matteo 15). E non è successo proprio questo? Le chiese evangeliche sono piene di donne, con i capelli malamente tagliati corti come le loro pari secolari, magari acconciati all’ultima moda6 ma che si mettono il velo, ovviamente solo in chiesa.

Cattolica: Le suore, nel prendere i voti si radono i capelli e … indossano il velo. C’è una scena emblematica nel film Luther nella quale appaiono delle suore fuggite dal convento, che smesso l’abito e il velo, si presentano a Lutero con i capelli malamente tagliati corti.

Ho ancora davanti la avvilente visione di una “credente”, con pantaloni attillati e ampia scollatura a evidenziare forme mozzafiato, con taglio alla maschietta con però il “velo” sulla testa. Putroppo la gloria delle moderne credenti non è più la copertura della loro lunga capigliatura ma la scopertura dei lori seni e glutei!

Ma ci si rende conto della tragedia, dell’assurdo, del grottesco? Come se la devono ridere i demoni, e come devono piangere gli angeli!

E a proposito di angeli, tirati in ballo nel verso 10, qualunque spiegazione si voglia offrirne, è certo che esso è un solenne avvertimento sull’importanza della questione. Un monito che dovrebbe dissuadere dal relativizzare l’insegnamento in nome della “libertà cristiana”, così come troppo spesso si fa oggi. Il suggerimento che offro, è che alla luce di quanto scritto fino a qui, 1 Corinzi 11 sia, tra le altre cose, una messa in guardia contro l’unisessualità, proprio come Romani 1 è una condanna dell’omosessualità. Non credo sia un caso che in entrambi i passi Paolo, ricorre alla natura, (da intendere “come siamo stati fatti in principio”) per sostenere le sue tesi.

Può darsi che gli angeli, non avendo sesso (Matteo 22:30), ed essendo preposti a nostri assistenti (Salmo 91:11) rimangano perplessi e confusi davanti a un aspetto unisex, non sapendo distinguere altrimenti un uomo da una donna.  Ripeto, è solo un suggerimento, ma che mi sembra stare in piedi più delle elucubrazioni partorite per giustificare questo passaggio sulla base del “velo”.

In conclusione, riporto un commento fatto qualche decennio fa da una donna, Sarah Foulkes Moore,  moglie di Willard C. Moore, fondatore de L’Araldo della sua Venuta, un piccolo periodico che ebbe una certa diffusione in Italia negli anni 60 e 70 del XX secolo. Questo commento è possibile solo usando la AV. Con una qualunque versione italiana perderebbe la sua incisività, per non dire che risulterebbe incomprensibile:

“Il Signore dice, “Se la donna porta la lunga capigliatura, essa è una gloria per lei” (1 Cor. 11:15 AV). Se i capelli lunghi sono la gloria della donna, i capelli corti devono essere la sua vergogna. Maria lavò i piedi di Gesù con i suoi lunghi capelli. Che atto bellissimo, che gesto di modestia!  Una donna con i capelli corti che professa di essere seguace di Cristo squalifica se stessa da quest’atto di pura devozione al suo Signore. Rimane un tipo della Chiesa decaduta, con la sua gloria che si è dipartita.

I capelli lunghi SONO l’Emblema Scritturale della donna virtuosa.”

E, in ultimo, un’osservazione sul significato della parola greca exousia. Non ha niente di teologico, vuole essere solo un incoraggiamento per le donne.  La AV la traduce power, potenza, potere in riferimento alla copertura che la donna deve avere sul capo. C’è un detto che dice che il fascino di un uomo sta nel suo potere, mentre il potere di una donna sta nel suo fascino.

E che cosa c’è più di affascinante in una donna dei suoi splendidi capelli lunghi?

1. Il principio del Rasoio di Occam, in latino lex parsimoniae, la legge della parsimonia, dell’economia, dalla succintezza, suggerisce di scegliere tra varie ipotesi in competizione quella che fa meno assunzioni e offre la spiegazione più semplice (tratto da Wikipedia). Un principio mutuabile dalle Scritture: “in semplicità … e non in sapienza carnale” (2 Corinzi 1:12), “la semplicità che è in Cristo” (2 Corinzi 11:3).

2 Gli studiosi evangelici si salvano in corner adduccendo che le moderne confessioni di fede (ad esempio quella di Chicago del 1978) recitano che le Scritture sono inerranti negli originali (autographa), o solo negli originali (Warfield), pertanto le copie (apographa) non sono inerranti e pertanto né pure le loro traduzioni. La inevitabile conseguenza logica di questa posizione è che oggi nessuna Bibbia è inerrante, e logicamente tantomeno ispirata al 100%. Le confessioni di fede come quella di Westminster non includono questi sofismi.

3 Si veda http://www.lanuovavia.org/confutazioni.luzzi.html. Giovanni Luzzi è per l’evangelicalismo italiano all’incirca quello che Charles G. Finney è per quello Americano. Entrambi erano dei completi apostati eppure sono esaltati come campioni della fede. Butindaro fa un ottimo lavoro a fornire le prove della bancarotta spirituale di Luzzi eppure, non si sa come, conclude raccomandando la versione del Luzzi come “buona traduzione”. Un po’ come dimostrare che il preside della scuola dove va tua figlia è un pedofilo stupratore seriale ma nonostante questo ce la mandi lo stesso anzi raccomandi quella scuola.

4 La Nuova Diodati non ha niente a che vedere ovviamente con la Diodati. Per quanto riguarda il Nuovo Testamento è una traduzione ex-novo del Textus Receptus così come ricostruito da Scrivener nel XIX secolo dalla AV. In quanto al vecchio non saprei dire. Tuttavia nelle scelte di traduzione, almeno nel NT sembra voler seguire la tradizione anglosassone legata proprio alla AV, anche se non sempre fedelmente.

5 Qualcuno potrebbe sostenere che la parola greca exousia sarebbe meglio tradotta come autorità invece come potenza. Certamente può anche essere tradotta come autorità ma respingo al mittente la presunzione che sia una traduzione migliore. Sono insopportabili queste implicite insinuazioni che i Riformatori erano o ignoranti o non avevano avuto la guida completa dello Spirito Santo.

6 Ricordiamoci che la moda è una tradizione degli uomini, e che oggigiorno è influenzata prevalentemente da omosessuali! È proprio vero che un abisso chiama un altro abisso!

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