mercoledì 5 luglio 2017

La sovranità di Dio nella riprovazione

“Considera dunque la bontà e la severità di Dio” (Romani 11:22).


Nel capitolo precedente, quando trattavamo della sovranità di Dio Padre nella salvezza, abbiamo esaminato sette brani della Bibbia in cui Lo vediamo fare una scelta fra i figli degli uomini, predestinandone alcuni ad essere conformati all’immagine di Suo Figlio. Il lettore riflessivo si chiederà naturalmente quale sia, di conseguenza, la sorte di coloro che non sono stati “ordinati a vita eterna”. La risposta che di solito forniscono a questa domanda anche coloro che credono a ciò che la Scrittura insegna al riguardo della sovranità di Dio, è che Dio passi oltre ai non eletti lasciando che essi seguano la loro via, ed alla fine essi saranno gettati nel Lago di Fuoco perché hanno rifiutato di seguire la Sua via e respinto il Salvatore che Egli aveva loro provveduto. Questa, però, è solo una parte della verità; l’altra parte – quella che maggiormente offende la mente carnale – è o ignorata, o negata. 
L’argomento che noi stiamo per affrontare è serio e temibile, ma oggi quasi tutti – persino coloro che professano d’essere calvinisti – respingono e ripudiano questa dottrina. Si tratta, inoltre, di un argomento del quale siamo ben consapevoli che attirerà sul nostro libro polemiche e controversie a non finire: per questo è necessario esaminare questo aspetto della verità di Dio in modo ancora più attento ed approfondito. Siamo pronti ad ammettere che questo ramo dell’esposizione della sovranità di Dio sia profondamente misterioso, ma non v’è ragione per cui noi lo si debba respingere. Il guaio è che oggi vi sono fin troppe persone che ricevono la testimonianza di Dio solo fino al punto dove essi possono spiegare in modo soddisfacente le ragioni e le basi della Sua condotta, il che significa che essi sono disposti ad accettare solo ciò che può essere misurato secondo i miseri criteri delle loro limitate capacità.

Il punto che noi stiamo per considerare – messo nella forma più esplicita – è questo: Dio ha forse predestinato alcuni alla dannazione? Che molti saranno dannati per l’eternità, è chiaramente insegnato dalla Scrittura: ognuno sarà giudicato in base alle proprie opere e raccoglierà quello che ha seminato. Ugualmente sicura è che“la condanna di costoro è giusta” (Ro. 3:8). Altrettanto sicuro è che Dio abbia decretato che i non-eletti debbano scegliere il corso che essi seguono: sarà questo che ora cercheremo di provare.

In conformità a ciò che è stato presentato nel capitolo precedente al riguardo dell’elezione di alcuni alla salvezza, ne consegue inevitabilmente, anche se la Scrittura tacesse su di questo, che vi deve per forza essere la ripulsione di altri. Ogni scelta, in modo evidente e necessario, implica un rifiuto, perché laddove non vi fosse un lasciar fuori, non vi sarebbe neppure una scelta. Se vi sono alcuni che Dio ha eletto a salvezza (2 Ts. 2:13), vi devono per forza essere altri che Dio non ha eletto a salvezza. Se il Padre ha affidato alcuni a Cristo (Gv. 6:37), vi dovranno per forza essere altri che Egli non ha affidato a Cristo. Se vi sono alcuni i cui nomi sono scritti nel Libro della vita (Ap. 21:27), vi devono per forza essere altri i cui nomi non vi sono scritti. Che questo sia il caso, sarà provato pienamente più avanti. 

Ora tutti riconosceranno che dalla fondazione del mondo Dio ha certamente preconosciuto e previsto chi avrebbe e chi non avrebbe ricevuto Cristo come proprio Salvatore, e quindi, nel far venire all’esistenza e nascere quelli che Egli sapeva non avrebbero ricevuto Cristo come loro Salvatore, si può dire che Egli necessariamente li abbia creati ai fini della dannazione. Tutto ciò che si può dire in risposta a questo è: No, sebbene Iddio prevedesse che questi avrebbero respinto Cristo, Egli non decretò che essi lo dovessero fare. Questo, però, significa evitare la vera questione. Dio aveva una ragione definita perché Egli creò esseri umani, uno scopo preciso per cui Egli creò questo o quell’individuo e, in vista della destinazione eterna delle Sue creature, Egli si propose o che questo dovesse trascorrere l’eternità in cielo o che quest’altro dovesse trascorrere l’eternità nel Lago di Fuoco. Se Egli quindi previde che, nel creare una certa persona, questa avesse disprezzato e respinto il Salvatore, e, pur conoscendolo in anticipo, ciononostante, portò questa persona all’esistenza, allora è chiaro che Egli progettò e ordinò che quella persona fosse eternamente perduta. Ancora: la fede è dono di Dio, e lo scopo di darla solo ad alcuni, implica il proposito di non darla ad altri. Senza fede non vi è salvezza – “Colui che non crede sarà dannato” – per questo, se vi erano alcuni discendenti di Adamo ai quali Egli non si propose di dare la fede, deve essere così perché Egli ordinò che essi avrebbero dovuto essere condannati.

Non solo non è possibile sfuggire a queste conclusioni, ma pure la storia le conferma. Prima della divina Incarnazione, per quasi 2000 anni, la vasta maggioranza dell’umanità era stata lasciata priva persino dei mezzi esteriori della grazia, non essendo favorita da alcuna predicazione della Parola di Dio rivelazione scritta della Sua volontà. Per molti lunghi secoli, Israele era l’unica nazione a cui Dio avesse concesso una qualche speciale conoscenza di Sé stesso: “Egli, nelle generazioni passate, ha lasciato che ogni popolo seguisse la propria via” (At. 14:16); “Voi soli ho scelti fra tutte le famiglie della terra” (Am. 3:2). Di conseguenza, poiché la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo (Ro. 10:17) e tutte le altre nazioni erano, di fatto, prive di questa predicazione, né consegue che fossero straniere a questa fede. Queste nazioni non erano solo ignoranti di Dio stesso, ma non conoscevano neppure il modo per compiacerlo, il vero modo d’essergli graditi, ed i mezzi per giungere all’eterno godimento di Lui. Ora, se Dio avesse voluto la loro salvezza, non avrebbe forse Egli concesso loro i mezzi per la salvezza? Non avrebbe forse dato loro tutte le cose necessarie a quel fine? Il fatto innegabile, però, è che Egli non gliele diede loro. Se dunque Dio, in modo coerente con la Sua giustizia, misericordia, e benevolenza, nega ad alcuni i mezzi della grazia, e li rinchiude in spesse tenebre e nell’incredulità (a causa dei peccati dei loro antenati, generazioni prima), perché dovrebbe parere incompatibile con le Sue perfezioni l’escludere alcuni, molti, dalla grazia stessa, e da quella vita eterna che ad essa è connessa, visto che Egli è Signore e Dispensatore sovrano sia dei fini a cui tendono i mezzi, ed i mezzi che conducono a quel fine?

Consideriamo quello che avviene oggi per la popolazione del nostro paese – lasciando per un momento da parte le folle di pagani non ancora evangelizzate – non è forse evidente che esistono molte persone che vivono in paesi dov’è predicato l’Evangelo, terre piene di chiese, e che pure muoiono stranieri a Dio ed alla Sua santità? E’ vero, i mezzi della grazia sarebbero stati a loro portata di mano, ma non se ne sono avvalsi. Migliaia di persone sono nate in famiglie dove sin dall’infanzia era loro insegnato a considerare tutti i cristiani come solo degli ipocriti ed i predicatori come nient’altro che degli impostori. Altri sono stati educati sin dalla loro culla nel Cattolicesimo romano, e sono stati condizionati a considerare i cristiani evangelici come pericolosi eretici, come pure la Bibbia un libro per loro molto pericoloso. Altri ancora, educati nella cosiddetta “scienza cristiana” non conoscono dell’Evangelo di Cristo più di quanto ne conosca un pagano mai evangelizzato. La grande maggioranza di questi muore in totale ignoranza della Via della Pace. Non siamo quindi obbligati a concluderne che non fosse volontà di Dio, comunicare loro la grazia? Se dunque era la volontà di Dio di rifiutare loro la Sua grazia, questa deve essere stata sin dall’eternità espressa Sua volontà, poiché la Sua volontà è, com’è Lui stesso, la stessa, ieri, oggi e per sempre. Non dimentichiamoci che la provvidenza di Dio non è che una manifestazione dei Suoi decreti. Ciò che Dio compie nel tempo è solo quello che già dall’eternità si era prefisso di fare – solo la Sua volontà è la causa dei Suoi atti e delle Sue opere. Dal fatto quindi che Egli lasci alcuni nell’impenitenza definitiva e nell’incredulità, noi ne deduciamo che questo dipenda dalla Sua eterna determinazione, e che, di conseguenza, sin da prima della fondazione del mondo Egli abbia deciso di respingerli, di riprovarli.

La Confessione di Westminster dice: “Dio ha decretato dall’eternità, secondo il più saggio e santo consiglio della propria volontà, in modo libero ed immutabile, tutte le cose che avrebbero avuto luogo”. F. W. Grant – attentissimo e cauto studioso della Bibbia, commentando queste parole, disse: “E’ perfettamente e divinamente vero, che Dio abbia ordinato, per la Sua propria gloria, tutto ciò che accade”. Ora, se queste affermazioni sono vere, non implicano forse che la dottrina della Riprovazione sia ugualmente stabilita? Che cos’è che ogni giorno, nella storia umana, ciò che più di tutto indiscutibilmente avviene? Il fatto che uomini e donne muoiano, e passino da questo mondo in un’eternità priva di speranza, un’eternità di sofferenze e di guai. Se dunque Dio ha decretato dall’eternità tutte le cose che avrebbero avuto luogo, allora Egli dovrà aver pure decretato che un vasto numero di creature umane escano da questo mondo in condizione di non salvezza per soffrire eternamente nel Lago di Fuoco. Ammessa quella premessa generale, non è forse inevitabile questa conclusione specifica?

In risposta ai precedenti paragrafi, il lettore potrebbe dire: “Tutto questo, però, è un semplice ragionamento, senza dubbio logico, ma che rimane una deduzione ipotetica. Bene, ma ora, in aggiunta alle precedenti conclusioni, vi sono pure molti testi delle Sacre Scritture, che sono chiari e definiti nel loro insegnamento su questa seria questione, brani che sono troppo chiari per poter essere equivocati, e troppo forti per poter essere ignorati. E’ stupefacente quanta buona gente abbia, ciononostante, negato le loro innegabili affermazioni.

1.   “Giosuè fece per lungo tempo guerra a tutti quei re. Non ci fu città che facesse pace con i figli d’Israele, eccetto gli Ivvei che abitavano a Gabaon; le presero tutte, combattendo; infatti il SIGNORE faceva sì che il loro cuore si ostinasse a dar battaglia a Israele, perché Israele li votasse allo sterminio senza che ci fosse pietà per loro, e li distruggesse come il SIGNORE aveva comandato a Mosè” (Gs. 11:18-20). Che vi potrebbe essere di più chiaro di questo? Ecco un vasto numero di cananei a cui il Signore indurisce il cuore, e che Egli si era proposto di distruggere completamente, gente per la quale non ci deve essere pietà! Pur ammettendo che si trattasse di gente malvagia, immorale ed idolatra, forse che essa era in qualche modo peggiore dei cannibali immorali ed idolatri delle isole dei mari del Sud (e di molti altri luoghi) ai quali Iddio diede l’Evangelo attraverso il ministero di John G. Paton? Certo no. Allora perché Iddio non comandò ad Israele di insegnare ai cananei le Sue leggi ed istruirlo al riguardo dei sacrifici da offrire al vero Dio? E’ chiaro: perché Egli li aveva destinati alla distruzione, e questo da ogni eternità.

2.   “L’Eterno ha fatto ogni cosa per se stesso, anche l’empio per il giorno della sventura” (Pr. 16:4 ND)[1]. Che il Signore abbia fatto ogni cosa, forse ogni lettore di questo libro sarà pronto a concederlo. Che Egli abbia fatto ogni cosa per Sé stesso, non è persuasione di tutti. Che Dio abbia fatto ciascuno, non per noi stessi, ma per Sé stesso, non per la nostra felicità, ma per la Sua gloria, è ripetutamente affermato dalle Scritture. “Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore e la potenza: perché tu hai creato tutte le cose, e per tua volontà furono create ed esistono” (Ap. 4:11). Proverbi, però, va oltre a questo, e dichiara espressamente che il Signore abbia fatto l’empio per il giorno della sventura, per il giorno del male: questo era stato l’espresso proposito nel crearlo. Ma perché? Non è forse vero che Romani 9:17 dice: “La Scrittura infatti dice al faraone: «Appunto per questo ti ho suscitato: per mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato per tutta la terra»”? Dio ha fatto il malvagio per quello scopo, affinché, alla fine, Egli potesse dimostrare “la Sua potenza”, dimostrare cioè che per Lui è facile sottomettere persino il ribelle più ostinato e sconfiggere il suo potente esercito.

3.   “Allora dichiarerò loro: “Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori!” (Mt. 7:23). Nel capitolo precedente abbiamo mostrato come le parole “conoscere” e “preconoscere”, applicate a Dio nella Scrittura, si riferiscano non semplicemente alla Sua capacità di prevedere ciò che accadrà (cioè la Sua precedente “semplice conoscenza”), ma la Sua conoscenza “d’approvazione”. Quando Dio dice ad Israele: “Soltanto voi ho conosciuto fra tutte le famiglie della terra” (Am. 3:2 ND), è evidente che Egli intende dire: “Solo a voi ho guardato con favore”[2]. Quando leggiamo in Romani 11:2: “Dio non ha rigettato il suo popolo, che ha preconosciuto” (Ro. 11:2 ND)[3], è ovvio come qui si intende dire: “Dio non ha respinto completamente quel popolo che Egli ha scelto come oggetto del Suo particolare amore”[4], cfr. Deuteronomio 7:7,8. Allo stesso modo (ed è l’unico modo possibile per comprendere questo versetto) dobbiamo intendere Matteo 7:23. Nel giorno del giudizio, il Signore dirà a molti: “Io non vi ho mai conosciuti”. Notate come qui non si dica: “Io non vi ho conosciuti”, ma “Io non vi ho mai conosciuti” – voi non siete mai stati oggetto della mia approvazione. Mettete questo a confronto con: “Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me” (Gv. 10:14). Le “pecore”, i Suoi eletti, i “pochi”, certo Egli “le conosce”, ma i reprobi, i non eletti, i “molti”, Egli non li conosce, no, nemmeno da prima della fondazione del mondo, Egli “non li ha mai conosciuti! 

4.   In Romani 9 si tratta a lungo della dottrina della sovranità di Dio nella sua applicazione sia agli eletti che ai reprobi. Trattare quest’importante testo in modo esauriente, va oltre agli scopi che ora ci prefissiamo. Tutto ciò che possiamo ora fare è soffermarci su quella parte che chiaramente insiste sull’argomento che ora stiamo considerando. “La Scrittura, infatti, dice al faraone: «Appunto per questo ti ho suscitato: per mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato per tutta la terra»” (v. 17). Queste parole si riferiscono ai precedenti versetti 13 e 14. Nel versetto 13 si afferma l’amore che Dio aveva per Giacobbe e l’odio che Egli nutriva per Esaù. Nel vers. 14 l’Apostolo si chiede: “Vi è forse ingiustizia in Dio?” e nel vers. 17 egli continua a rispondere all’obiezione. Non possiamo fare di meglio che citare dal commento che Calvino fa a questo versetto: “Vi sono qui due cose da considerare, il fatto che il Faraone sia predestinato alla rovina, che risale al passato eppure nascosto consiglio di Dio, e poi lo scopo che con questo si era prefisso: far conoscere il nome di Dio. Molti interpreti, cercando di modificare questo testo, lo pervertono. Dobbiamo, però, prima osservare che la parola “Io ti ho suscitato”, nell’ebraico letteralmente significa: “Io ho stabilito”. Appare così che Dio, volendo mostrare come l’ostinazione di Faraone non Gli avrebbe impedito di liberare il Suo popolo, non solo afferma che la sua furia era stata da Lui prevista e che Egli avesse preparato i mezzi per tenerla a freno, ma che Egli l’aveva appositamente progettata ed ordinata per quel fine – affinché potesse dare evidenze ancora più forti della Sua potenza”. Qui si osserva come Calvino rilevi la forza della corrispondente parola ebraica che Paolo rende con: “per questo ti ho suscitato”, con “così ho stabilito”. Dato che questa è la parola e l’argomentazione sulla quale gira la dottrina di questo testo, rileviamo come nel citare qui Esodo 9:16[5] l’Apostolo si distanzi significativamente dalla versione dei Settanta – la versione dell’Antico Testamento allora più in uso, e da cui frequentemente cita, sostituendo le prime parole del versetto, da “Per questo io ti ho lasciato vivere”, con “Per questa stessa ragione io ti ho suscitato”! 

Dobbiamo però ora considerare in maggiore dettaglio il caso di Faraone, che riassume con un esempio concreto, la grande controversia fra l’uomo e il suo Fattore. “Perché se io avessi steso la mia mano e avessi percosso di peste te e il tuo popolo, tu saresti stato sterminato dalla terra. Invece io ti ho lasciato vivere per questo: per mostrarti la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato su tutta la terra” (Es. 9:15,16). Su queste parole facciamo i seguenti commenti. 

(a)  Sappiamo da Esodo 14 e 15 che Faraone fu “sterminato”, “tagliato via” da Dio, nel più bel mezzo della sua malvagità, non da malattia o da infermità, accidenti dell’età avanzata, non da ciò che gli uomini chiamerebbero “circostanze accidentali”, ma dal giudizio immediato della “mano di Dio”.

(b)  In secondo luogo è chiaro che Dio avesse “suscitato” Faraone per questo stesso fine, cioè proprio per essere poi distrutto, sterminato, letteralmente “tagliato via”. Dio non fa nulla che non sia corrispondente ad un progetto precedente. Nel far si che egli nascesse, nel preservare la sua vita durante la sua infanzia ed adolescenza, nel farlo salire sul trono d’Egitto, Dio aveva un solo fine in mente. Quale sia stato questo fine, questo proposito, è chiaro dalle parole stesse rivolte da Dio a Mosè prima che lui scendesse in Egitto, chiedere a Faraone che il popolo di Dio venisse lasciato andare tre giorni nel deserto per adorare Iddio: “Il SIGNORE disse a Mosè: «Quando sarai tornato in Egitto, avrai cura di fare davanti al faraone tutti i prodigi che ti ho dato potere di compiere; ma io gli indurerò il cuore ed egli non lascerà partire il popolo” (Es. 4:21). Non solo questo, ma il progetto e proposito di Dio era stato dichiarato pure molto tempo prima. Quattrocento anni prima, Iddio aveva detto ad Abraamo: “Il SIGNORE disse ad Abramo: «Sappi per certo che i tuoi discendenti dimoreranno come stranieri in un paese che non sarà loro: saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni; ma io giudicherò la nazione di cui saranno stati servi e, dopo questo, se ne partiranno con grandi ricchezze” (Ge. 15:13,14). Da queste parole, è evidente che (nell’A. T. una nazione ed il suo re sono considerati una cosa sola) che il proposito di Dio era già stato formato molto tempo prima che persino Faraone nascesse.

(c)  In terzo luogo, un esame del modo in cui Dio tratta con Faraone, mette in chiaro come il re d’Egitto indubbiamente fosse un “vaso d’ira preparato per la perdizione” (Ro. 9:22). Posto sul trono d’Egitto, con le redini del paese saldamente in mano, era capo di una delle nazioni più ricche e potenti del mondo. Non c’era al mondo altro re che avesse un potere assoluto maggiore del Faraone d’Egitto. Proprio a queste altezze da capogiro Dio aveva posto questo reprobo, e un tale corso era un passo necessario per prepararlo al suo fato finale, perché è assioma della stessa Parola di Dio che: “La superbia precede la rovina, e lo spirito altero precede la caduta” (Pr. 16:18). Inoltre, e questo è molto importante e altamente significativo – Dio toglie a Faraone l’unico freno esteriore appositamente calcolato per vagliarlo. Dare a Faraone i poteri illimitati di re, lo poneva al di sopra d’ogni influenza legale e controllo. Oltre a questo, Iddio rimuove Mosè dalla sua presenza e regno. Se fosse stato permesso a Mosé – che non solo era molto istruito nella sapienza egiziana ma che pure era cresciuto alla corte d’Egitto, di rimanere in stretta prossimità del trono, non c’è dubbio che il suo esempio ed influenza avrebbe esercitato una potente azione moderatrice della malvagità e tirannia del re. Questo, se pure non la causa, era chiaramente una delle ragioni per cui Iddio aveva mandato Mosè a Midian, perché fu durante la sua assenza che questo disumano re d’Egitto aveva pubblicato i suoi editti più crudeli. Dio progetta così, rimuovendo un possibile freno, dare a Faraone piena opportunità di colmare la misura dei suoi peccati, e rendersi maturo per la sua rovina, ben meritata, ma del tutto predestinata.

(d)  In quarto luogo, Dio aveva “indurito” il suo cuore esattamente come aveva preannunciato di fare (Es. 4:21). Questo concorda con le dichiarazioni delle Sacre Scritture: “All’uomo spettano i disegni del cuore; ma la risposta della lingua viene dal SIGNORE” (Pr. 16:1), “Il cuore del re, nella mano del SIGNORE, è come un corso d’acqua; egli lo dirige dovunque gli piace” (Pr. 21:1). Come ogni altro re, il cuore di Faraone era nelle mani del Signore, e Dio aveva la capacità ed il diritto di farlo volgere ovunque Gli piacesse. E Dio si compiace di volgerlo contro ogni bene. Dio stabilì di impedire a Faraone di accordare il permesso a Mosè di lasciare andare Israele, fintanto che sarebbe stato pienamente pronto per la sua caduta finale, e perché nulla di meno di questo gli sarebbe stato appropriato, Dio indurisce il suo cuore.

(e)  Infine, è degno della più attenta considerazione notare come Dio sia pienamente giustificato nel trattare con Faraone nel modo che fa. E’ del tutto sorprendente scoprire di avere la testimonianza stessa di Faraone in favore di Dio e contro Sé stesso! In Esodo 9:15,16 apprendiamo come Dio avesse detto a Faraone quale fosse stato lo scopo d’averlo suscitato, e, nel versetto 27 dello stesso capitolo, Faraone dice: “Questa volta io ho peccato; il SIGNORE è giusto, mentre io e il mio popolo siamo colpevoli”. Notate come questo sia stato detto da Faraone dopo aver appreso che Dio lo aveva suscitato per “tagliarlo via”, dopo che un severo giudizio gli era stato inflitto, dopo aver indurito il suo cuore. Ora Faraone era maturo per il giudizio, pienamente pronto a decidere se Dio lo avesse danneggiato, oppure che egli avesse cercato di danneggiare Dio. Egli riconosce pienamente d’aver “peccato” e che Dio era solo “giusto” a fare quel che faceva. Ancora, abbiamo la testimonianza di Mosè, il quale era perfettamente consapevole della condotta di Dio verso Faraone. Egli aveva udito all’inizio quali fossero i propositi di Dio con Faraone; era stato testimone di come Iddio lo aveva trattato; aveva osservato la pazienza di Dio verso questo vaso d’ira preparato per la distruzione. Alla fine aveva assistito come questi fosse stato “tagliato via” dal giudizio divino nel Mar Rosso. In che modo Mosè reagisce a tutto questo? Forse che grida contro “l’ingiustizia” di Dio? Forse che egli accusa Dio di malvagio cinismo? Tutt’altro! Dice, invece: “Chi è pari a te fra gli dèi, o SIGNORE? Chi è pari a te, splendido nella tua santità, tremendo anche a chi ti loda, operatore di prodigi?” (Es. 15:11). Forse che Mosè viene assalito da uno spirito di vendetta nel vedere il più gran nemico di Israele spazzato via dalle acque del Mar Rosso? Certo no. Per togliere, però, ogni dubbio su di questo, rimane solo da osservare come i santi in cielo, dopo avere assistito ai tremendi giudizi di Dio, si uniscono in coro “e cantavano il cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello, dicendo: «Grandi e meravigliose sono le tue opere, o Signore, Dio onnipotente; giuste e veritiere sono le tue vie, o Re delle nazioni” (Ap. 15:3).

Ecco il punto culminante di tutta la vicenda e la piena e finale giustificazione di come Iddio avesse trattato con Faraone. I santi in cielo si uniscono e cantano il cantico di Mosè, in cui quel servitore di Dio celebra le lodi del Signore per aver distrutto interamente Faraone ed il suo esercito, dichiarando che, così facendo, non solo Dio non era stato ingiusto, ma che anzi, era stato giusto e veritiero. Dobbiamo credere, quindi, che il Giudice di tutta la terra ha fatto bene nel creare e nel distruggere questo vaso d’ira, Faraone. Il caso di Faraone stabilisce quindi il principio in esame, ed illustra la dottrina della Riprovazione. Se Dio, di fatto, riprova, respinge Faraone, possiamo giustamente concluderne che Egli riprovi e respinga giustamente tutti coloro che Egli non ha predestinato essere resi conformi all’immagine di Suo Figlio. Questa è esattamente la conclusione che Paolo trae dal destino di Faraone, perché in Romani 9, dopo aver fatto riferimento ai propositi di Dio nel suscitare Faraone, continua e dice: “Così dunque…”. Il caso di Faraone è proposto per provare la stessa dottrina della Riprovazione, corollario e controparte della dottrina dell’Elezione.

In conclusione, diremmo allora che nel suscitare Faraone Dio non manifesta né giustizia, né in giustizia, ma solo la Sua semplice sovranità. Come il vasaio dà forma all’argilla per farne uscire ciò che si è con essa prefisso di fare, così Dio è sovrano quando porta all’esistenza i Suoi agenti morali.

Versetto 18: “Così dunque egli fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole”. Quel “Così dunque” annuncia la conclusione generale che l’Apostolo trae da tutto ciò che ha detto nei tre versetti precedenti. Lì aveva negato che Dio fosse ingiusto nell’amare Giacobbe e odiare Esaù. In particolar modo, l’Apostolo qui applica il principio tratto dall’esempio del rapporto fra Dio ed il Faraone: ogni cosa trae le sue origini dalla volontà sovrana del Creatore. Egli ama l’uno ed odia l’altro, Egli esercita misericordia verso alcuni ed indurisce altri, senza fare riferimento ad altro che non sia la Sua volontà sovrana. Ciò che nel versetto precedente è maggiormente repellente per la mente carnale è il riferimento all’indurimento – Egli indurisce chi vuole. E’ proprio a questo punto che così tanti commentatori ed espositori hanno adulterato la verità. La concezione più comune è che l’Apostolo parli qui di nulla di più che un indurimento giudiziale, vale a dire che Dio avrebbe abbandonato questi oggetti del Suo dispiacere perché essi prima avrebbero respinto la Sua verità ed abbandonato Lui stesso. Coloro che sostengono quest’interpretazione fanno appello a testi biblici come Romani 1:19-26 in cui si afferma che Dio “li ha abbandonati” (vedi il contesto) perché essi, pur avendo conosciuto Dio, non l’hanno glorificato come Dio (v. 21). Essi fanno pure riferimento a 2 Tessalonicesi 2:10-12. Bisogna però notare come la parola “indurire” non sia presente in questi testi. Inoltre, Romani 9:18 non fa riferimento alcuno ad un “indurimento” giudiziale. L’Apostolo non parla in quei testi di coloro che già avevano voltato le spalle alla verità di Dio, ma parla della sovranità di Dio, della sovranità di Dio visibile non solo nel fatto che Egli dia misericordia a chi vuole, ma pure nel fatto che Egli indurisce chi vuole. Le parole esatte sono “chi (Egli) vuole”, non “chi ha respinto la Sua verità” – “Egli indurisce”, e questo è detto subito dopo aver menzionato Faraone, fissandone così chiaramente il loro significato. Il caso di Faraone è abbastanza chiaro, sebbene l’uomo, con i suoi distinguo, abbia fatto del suo meglio per celarne la verità.

Versetto 18: “Così dunque egli fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole”. Quest’affermazione su Dio che “indurisce” il cuore dei peccatori – in contrasto con l’indurimento giudiziale – non è la sola che la Scrittura presenti. Si notino le espressioni di Giovanni 12:37-40: “Sebbene avesse fatto tanti segni miracolosi in loro presenza, non credevano in lui; affinché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia: «Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione? A chi è stato rivelato il braccio del Signore?» Perciò non potevano credere (perché?), per la ragione detta ancora da Isaia: «Egli ha accecato i loro occhi e ha indurito i loro cuori (perché? Perché avevano rifiutato di credere in Cristo? Questa è la concezione prevalente. Notate però bene ciò che dice la Scrittura), affinché non vedano con gli occhi, e non comprendano con il cuore, e non si convertano, e io non li guarisca»”. La questione fondamentale, caro lettore, è solo se sei disposto a credere a ciò che Dio ha rivelato nella Sua Parola. Non si tratta di fare una ricerca prolungata o uno studio profondo, ma è necessario, per comprendere questa dottrina, avere la fiducia di un bambino che accoglie le cose come stanno, senza fare questioni.

Versetto 19: “Tu allora mi dirai: «Perché rimprovera egli ancora? Poiché chi può resistere alla sua volontà?»”. Non è forse la questione che pure oggi molti propongono? La forza della domanda dell’Apostolo, sembra essere questa: Dato che tutto è dipendente dalla volontà di Dio, la quale è irreversibile, e dato che questa volontà di Dio, secondo la quale Egli può sovranamente fare ogni cosa – Egli può fare misericordia a chi vuole ed infliggere un castigo a chiunque Egli ritenga opportuno – perché Egli non vuole avere misericordia di tutti, tanto da renderli ubbidienti, e quindi portar fuori dal tribunale ogni atto di accusa? Ora, bisogna notare in particolar modo che l’Apostolo qui non ripudia la base su cui si appoggia quest’obiezione. Non dice che Dio non trovi motivo di condanna. Non dice nemmeno: gli uomini possono resistere alla Sua volontà. Inoltre, egli non cerca di “spiegare” l’obiezione dicendo: “Egli tratta con bontà chi vuole, e tratta severamente chi vuole”. Egli, però, dice dapprima: “In primo luogo, questa è un’obiezione che voi non avete diritto alcuno di porre” (vedi il dott. Brown). Quest’obiezione era per lui del tutto inammissibile, perché qui osate contestare Dio, andare contro di Lui. Se dite così, significhebbe lamentarsi di Dio, sostenere ragioni diverse dalle Sue, mettere in dubbio ciò che Dio ha fatto.

Versetto 19: “Tu allora mi dirai: «Perché rimprovera egli ancora? Poiché chi può resistere alla sua volontà?»”. L’obiezione che Paolo qui affronta, è così chiara e precisa, che fraintenderla sarebbe impossibile. Perché Egli rimprovera ancora? Ora, caro lettore, che cosa significano queste parole? Prova a formulare la tua risposta prima di considerare la nostra. Potrebbe forse la forza della domanda di Paolo essere altro che questa: Se è vero che Dio ha “misericordia” di chi vuole, se Egli pure “indurisce” chi vuole, allora, che ne rimane della responsabilità umana? In tale caso gli uomini non sarebbero altro che burattini, e se questo è vero, allora sarebbe ingiusto per Dio “rimproverare” le impotenti Sue creature. Notate qui la parola “allora”: “Tu allora mi dirai”- egli qui afferma la (falsa) deduzione o conclusione da ciò che l’Apostolo sta dicendo. Nota bene come l’Apostolo sia cosciente che la dottrina da lui formulata dia adito a questa stessa obiezione. Se dopo tutto ciò che noi, in questo libro abbiamo affermato non suscitasse la stessa obiezione nei lettori (almeno in coloro la cui mente carnale non è soggetta alla grazia divina), potrebbero darsi due casi: o che noi non abbiamo presentato la dottrina esposta in Romani 9, oppure che, dal tempo degli apostoli, la natura umana sia cambiata. Considerate quanto afferma il resto del versetto 19. L’Apostolo ripete la stessa obiezione in forma un poco diversa – la ripete in modo tale che essa non sia equivocata – cioè: “Chi può resistere alla Sua volontà?”. E’ chiaro che l’argomento in discussione riguardi la volontà di Dio, le Sue vie sovrane, il che conferma ciò che abbiamo detto del vv. 17 e 18, dove abbiamo rilevato come non si tratti di un “indurimento” giudiziale (cioè di un indurimento a causa di un precedente rifiuto della verità), ma di un “indurimento” sovrano, cioè l’indurimento di una creatura decaduta e peccatrice per nessun’altra ragione diversa dalla sovrana volontà di Dio. Ne consegue, così, la domanda: “Chi può resistere alla Sua volontà?”. Che cosa risponde l’Apostolo a queste obiezioni?

Versetto 20: “Piuttosto, o uomo, chi sei tu che replichi a Dio? La cosa plasmata dirà forse a colui che la plasmò: «Perché mi hai fatta così?»”. L’Apostolo quindi, non dice che l’obiezione sia inutile e priva di fondamento, infatti, egli accusa l’obiettore di empietà. Egli gli rammenta d’essere soltanto “un uomo”, una creatura, e che, come tale, è del tutto inappropriato ed impertinente per lui ”replicare” (argomentare, o ragionare) contro Dio. Inoltre, egli gli rammenta di non essere di più di una “cosa plasmata”, e quindi è follia e bestemmia insorgere contro lo stesso Fattore. Prima di lasciare, però, questo versetto, è necessario rilevare come le sue parole finali: “Perché mi hai fatta così?” ci aiutano a determinare, senza paura di sbagliare, l’argomento preciso in discussione. Alla luce del contesto immediato, quale può essere la forza di quel “così”? Come nel caso d’Esaù, perché mi hai reso oggetto di “odio”? Come nel caso del Faraone, perché mi hai semplicemente “indurito”? Quali altri significati, ragionevolmente, si possono attribuire ad esso? E’ molto importante aver chiaro davanti a sé che l’oggetto di cui parla l’Apostolo tutt’attraverso questo brano, è quello della sovranità di Dio nel trattare, da una parte quelli che Egli ama – vasi ad onore e vasi di misericordia, come pure, quelli che Egli “odia” e “indurisce” – vasi a disonore e vasi ad ira.

Versetti 21-23: “Il vasaio non è forse padrone dell’argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile? Che c’è da contestare se Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza dei vasi d’ira preparati per la perdizione, e ciò per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la Gloria”. In questi versetti l’Apostolo fornisce la risposta piena e finale alle obiezioni sollevate nel versetto 19. In primo luogo, egli chiede: “Il vasaio non è forse padrone dell’argilla?” ecc. Bisogna notare qui come la parola che è tradotta con “padrone” rende l’idea di facoltà, diritto, prerogativa. E’ la stessa parola che in greco è usata in Giovanni 1:12: “a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome”, il cui significato è indubitabile: significa che alcuni, e solo quelli, hanno il diritto di diventare figli di Dio. La Nuova Diodati traduce: “Non ha il vasaio autorità sull’argilla…”, e la Diodati: “Non ha il vasellaio la podestà sopra l’argilla…”. Che il “vasaio” sia qui Dio stesso, è certo per quanto riporta il versetto precedente, dove l’Apostolo si chiede: “chi sei tu che replichi a Dio”, e poi, parlando nei termini della figura che sta per usare, continua dicendo: “La cosa plasmata dirà forse a colui che la plasmò: «Perché mi hai fatta così?»”. Alcuni vorrebbero sottrarre a questo versetto la sua forza sostenendo che, sebbene il vasaio umano fa si che certi vasi siano destinati ad un uso meno nobile di altri, ciononostante sono destinati ad avere una loro funzione comunque utile. L’Apostolo, però, non dice qui: “Il vasaio non ha forse la facoltà, dalla stessa pasta, di plasmare vasi onorevoli e vasi meno onorevoli”, ma parla qui di “vasi” plasmati “per uso ignobile”. E’ vero, naturalmente, che la sapienza di Dio sarà comunque glorificata nel fatto che la distruzione del reprobo promuove di fatto la Sua gloria – ed è quanto ci dice il versetto seguente.

Prima di passare al versetto seguente, così, riassumiamo l’insegnamento di questo come pure dei due versetti precedenti. Nel versetto 19 si pongono due domande: “Tu allora mi dirai: «Perché rimprovera egli ancora? Poiché chi può resistere alla sua volontà?»”. A queste domande si risponde in triplice modo. In primo luogo, nel versetto 20 l’Apostolo nega alla creatura il diritto di giudicare che cosa fa il Creatore: “Piuttosto, o uomo, chi sei tu che replichi a Dio? La cosa plasmata dirà forse a colui che la plasmò: «Perché mi hai fatta così?»”. L’Apostolo insiste sul fatto che la rettitudine della volontà di Dio non deve essere messa in questione. Qualunque cosa faccia, Egli deve aver ragione. In secondo luogo, al vers. 21 l’Apostolo dichiara che il Creatore ha diritto di disporre delle Sue creature come crede meglio: “Il vasaio non è forse padrone dell’argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile?”. Si noti attentamente che qui la parola usata per “padrone” è “exousia” non “potere” o “capacità”, altrimenti sarebbe “dynaton”. Nelle parole: “Il vasaio non è forse padrone dell’argilla” è in rilievo il fatto che l’autorità di Dio è sempre esercitata in modo giusto – cioè, l’esercizio dei diritti di Dio è sempre coerente con la Sua giustizia – perché la semplice affermazione della Sua onnipotenza non sarebbe risposta adeguata alle domande poste al vers. 19. In terzo luogo, nei versetti 22 e 23 l’Apostolo fornisce le ragioni per le quali Dio agisce in modo diverso con una creatura e l’altra: da un canto Egli “manifesta la sua ira” e “fa conoscere il Suo potere”, d’altro canto, questo avviene per far conoscere “le ricchezze della Sua gloria”. “Il vasaio non è forse padrone dell’argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile?”. Certo Dio ha il diritto di fare così, perché Egli è il Creatore. Esercita Egli il Suo diritto? Si, come ci mostrano chiaramente i versetti 13 e 17: “Per questa stessa ragione ho suscitato il Faraone”.

Versetto 22: “Che c’è da contestare se Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con gran pazienza dei vasi d’ira preparati per la perdizione”.

Qui l’Apostolo ci dice, in secondo luogo, perché Iddio agisce in questo modo, vale a dire, in modo diverso con persone diverse – accordando ad uno misericordia, ed “indurendo” altri, rendendo un vaso “onorevole” ed un altro “ignobile”. Si osservi qui, nel versetto 22, come l’Apostolo parli di “vasi d’ira”, mente nel vers. 23 egli parli di “vasi della misericordia”. Perché questo? La risposta è di primaria importanza. Rispondiamo: perché sono i “vasi dell’ira” quelli a cui si riferiscono le obiezioni del vers. 19. Sono date due ragioni sul perché Iddio faccia di alcuni “vasi d’ira”: in primo luogo, per “manifestare la Sua ira”, e in secondo luogo “per far conoscere la Sua potenza” – ambedue le cose sono esemplificate nel caso del Faraone. C’è un punto del versetto succitato che merita particolare attenzione, cioè: “vasi d’ira, preparati per la perdizione?”, tradotto dalla CEI con “già pronti per la perdizione”. La spiegazione comune che si dà a queste parole, è che i vasi dell’ira si sono resi passibili di distruzione, cioè l’hanno “meritata” a causa della loro malvagità; e si sostiene che non c’è motivo che Dio “li prepari” per la perdizione, perché la loro propria malvagità li ha resi passibili, pronti, per essa, e che questo debba essere il significato di quest’espressione. Ora, se per “perdizione” noi intendiamo “castigo”, è perfettamente vero che i non-eletti, di fatto, siano “adatti”, “pronti” per la perdizione, perché ciascuno sarà giudicato “in base alle proprie opere”. Inoltre, siamo disposti ad ammettere che soggettivamente i non-eletti di fatto siano passibili di perdizione. Il punto da chiarire qui, però, è se l’Apostolo si riferisca a questo e non ad altro. Senza alcun’esitazione affermiamo: no, non è questo ciò a cui si riferisce l’Apostolo. Ritornate ai versetti 11-13: Forse che fu Esaù stesso a rendersi passibile di perdizione oppure a questo era stato destinato prima della sua stessa nascita, prima che avesse fatto alcunché di bene o di male? Ancora, fu forse Faraone a rendersi passibile di perdizione, oppure fu Dio stesso a indurire il suo cuore prima che le piaghe fossero inviate sull’Egitto? Si veda Esodo 4:21! Romani 9:22 è chiaramente una continuazione del pensiero del versetto 21, ed il versetto 21 è parte della domanda sollevata al versetto 20: quindi, per rendere giustizia alla figura qui usata, deve essere stato Dio stesso a “plasmare” in modo tale certi individui tanto da far si che essi fossero “vasi d’ira preparati” proprio per la perdizione, finalizzati ad essa! Egli dispone che certuni, i non-eletti, siano perduti mediante il Suo decreto di pre-ordinazione. Se ci si chiede, così, perché mai Dio faccia questo, la risposta non può altro che essere: per promuovere la Sua propria gloria, in altre parole, la gloria della Sua giustizia, potenza ed ira. “La sintesi della risposta che fornisce l’Apostolo qui è che ciò che Dio si prefigge fondamentalmente, sia nell’elezione a salvezza sia nella riprovazione, è sempre ciò che pure è primo nella creazione dell’uomo, vale a dire la Sua propria gloria” (Robert Haldane).

Versetto 23: “…e ciò per far conoscere la ricchezza della Sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria”.

L’unico punto in questo versetto che richiede attenzione, è il fatto che “i vasi di misericordia” sono considerati qui “già prima preparati per la gloria”. Molti rilevano come il versetto precedente non dica che i vasi d’ira siano stati “già prima preparati” per la perdizione, e da questa omissione ne concludono che in quel caso noi si debba comprendere che i non-eletti si siano da sé stessi resi passibili per la perdizione nel tempo e non che Dio li avesse destinati alla perdizione dall’eternità. Questa conclusione, però, non può in alcun modo essere dedotta dal testo.  Se infatti torniamo al versetto 21 e notiamo l’immagine che vi viene usata, “l’argilla”, essa è una materia inanimata, corrotta, decomposta, e quindi si tratta di un’immagine del tutto adeguata per rappresentare l’umanità decaduta. Quando l’Apostolo qui contempla la sovranità di Dio nel trattare con l’umanità, nel quadro della Caduta, egli non dice che i vasi d’ira siano stati “già prima” preparati per la perdizione, per la ragione ovvia e sufficiente che non fu che dopo la Caduta che essi divennero (in sé stessi) ciò che è simbolizzato nell’argilla. Tutto ciò che serve per confutare la conclusione erronea citata prima, è rilevare come ciò che è detto dei vasi d’ira non è che essi si siano da sé preparati, disposti, resi passibili, per la perdizione, ma che essi siano stati preparati (passivo) per la perdizione, il che presume, alla luce dell’intero contesto, che vi sia stata, da parte del Creatore, una sovrana disposizione, una predestinazione, alla perdizione. Citiamo qui quanto afferma Calvino su questo brano: “Vi sono vasi preparati per la perdizione, cioè, dati, destinati, al fine della perdizione. Essi sono pure vasi d’ira, vasi, cioè, plasmati e formati a questo fine, affinché siano esempi della vendetta e del dispiacere di Dio. Sebbene, nella seconda frase, l’Apostolo affermi più espressamente essere stato Dio a preparare, disporre, gli eletti per la gloria, come pure aveva detto semplicemente che i reprobi siano vasi preparati per la perdizione, non c’è dubbio che la preparazione, destinazione, di entrambi sia connessa al segreto consiglio di Dio. Paolo avrebbe altrimenti potuto dire che i reprobi si erano da sé resi passibili della perdizione, ma qui egli dice chiaramente che questo loro destino era stato disposto già prima della loro nascita”. Con questo concordiamo senza riserve.

Romani 9:22 non dice che i vasi d’ira si siano da sé preparati, disposti, resi passibili, per la perdizione, ma che essi sono stati preparati per la perdizione: il contesto mostra chiaramente che il soggetto qui è Dio. E’ Dio che prepara oggettivamente, mediante il Suo eterno decreto.

Sebbene Romani 9 contenga l’affermazione più esplicita che noi si possa trovare nella Scrittura, della dottrina della Riprovazione, pure vi sono altri brani che si riferiscono ad essa, dei quali ne citeremo qui alcuni.

Romani 11:7: “Che dunque? Quello che Israele cerca, non lo ha ottenuto, mentre lo hanno ottenuto gli eletti, e gli altri sono stati induriti”.

Qui abbiano due classi distinte e chiaramente definite, due classi che vengono poste in netta antitesi: “gli eletti” e “gli altri”, quelli che hanno “ottenuto” e quelli che sono stati “induriti”. Il commento a questo versetto lo prendiamo dai memorabili ed immortali scritti di John Bunyan. Egli scrive: “Si tratta di parole impressionanti: esse fanno una discriminazione fra uomo e uomo, fra gli eletti e gli altri, fra i scelti ed i lasciati, fra coloro che sono stati abbracciati e coloro che sono stati rifiutati. Con ‘gli altri’ qui bisogna comprendere i non eletti, perché sono qui posti in opposizione ai primi. Se non sono eletti, che altro possono essere se non reprobi?”.

1 Tessalonicesi 5:9. Scrivendo ai credenti di Tessalonica, l’Apostolo dichiara: “Dio, infatti, non ci ha destinati ad ira, ma ad ottenere salvezza per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo” (1 Ts. 5:9). Ora è certamente chiaro ad ogni mente imparziale che quest’affermazione sarebbe del tutto inutile se Dio non avesse “destinato” qualcuno ad ira. Dire che “Dio non ci ha destinati ad ira”, implica chiaramente che alcuni di fatto siano stati “destinati ad ira”. Se la mente di così tanti cristiani professanti non fosse così accecata dal pregiudizio, essi vedrebbero questo chiaramente.

1 Pietro 2:8 “…pietra di inciampo e sasso di ostacolo. Essi, essendo disubbidienti, inciampano nella Parola; e a questo sono stati anche destinati”. L’espressione “a questo sono stati destinati” chiaramente si riferisce al fatto che essi “inciampino” nella Parola ed alla loro disubbidienza. Qui, quindi, Iddio afferma espressamente che vi sono alcuni che sono stati “destinati” (la stessa parola greca usata in 1 Ts. 5:9) alla disubbidienza. Non è affare nostro stare a arzigogolare per negare in qualche modo l’evidenza, noi solo dobbiamo piegarci a quanto affermano le Sacre Scritture. Il nostro primo dovere non è quello di comprendere, ma quello di credere a ciò che Dio ha detto.

2 Pietro 2:12. “Ma costoro, come bestie prive di ragione, destinate per natura ad essere catturate e distrutte, dicono male di ciò che ignorano, e periranno nella propria corruzione”. Qui, ancora, vi sono coloro che cercano in ogni modo per sfuggire al chiaro insegnamento di questo impressionante testo. Tutto ciò che serve per confutare tali sofismi è chiederci, in questo versetto, dove stia l’analogia fra “costoro” (uomini) e le “bestie prive di ragione”. Qual è la forza di quel “ma” in “ma costoro, come bestie prive di ragione”? Chiaramente è che “costoro”, questi uomini, come bestie, solo quelli che, come animali sono “destinati per natura ad essere catturati e distrutti”. Le parole conclusive lo confermano con una ripetizione rafforzativa: “periranno nella propria corruzione”.

Giuda 4. “Perché si sono infiltrati fra di voi certi uomini (per i quali già da tempo è scritta questa condanna); empi che volgono in dissolutezza la grazia del nostro Dio e negano il nostro unico Padrone e Signore Gesù Cristo”. Si è cercato di sfuggire alla forza ovvia di questo versetto, sostituendolo con una traduzione diversa. La traduzione della CEI rende questo con “…i quali sono già stati segnati da tempo per questa condanna”. Anche l’espressione “segnati”, però, non elimina ciò che ci è così sgradito alla nostra sensibilità. Che significa: “…i quali sono già stati segnati da tempo”? Quando esattamente questi sono stati scritti “sul registro” dei condannati? Certamente non al tempo dell’Antico Testamento, perché là non abbiamo riferimento alcuno a uomini che si infiltrano nelle assemblee cristiane. Il riferimento di questa “iscrizione” può solo essere quello del libro dei decreti divini. Qualunque alternativa di parole si scelga, non si può sfuggire dal fatto che “da tempo” essi siano stati iscritti, o segnati da Dio, affinché fossero condannati.

Apocalisse 13:8. “L’adoreranno tutti gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti fin dalla creazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello che è stato immolato”. Si confronti questo con “Gli abitanti della terra, i cui nomi non sono stati scritti nel libro della vita fin dalla creazione del mondo, si meraviglieranno vedendo la bestia perché era, e non è, e verrà di nuovo” (Ap. 13:8). Qui vi è un’affermazione chiara ed oggettiva che esistono coloro i cui nomi non sono stati scritti nel libro della vita. A causa di questo essi giureranno fedeltà all’Anticristo.

Ecco, abbiamo qui non meno di dieci brani che implicano chiaramente od affermano espressamente il fatto della riprovazione. Essi affermano che i malvagi sono stati fatti in vista del Giorno dell’Ira, che Dio destina alcuni vasi ad uso ignobile, e che con il Suo eterno decreto Egli oggettivamente li prepari alla perdizione; che essi sono come bestie prive di ragione che sono destinate ad essere catturate e distrutte, essendo state da tempo destinate alla condanna. Di fronte a questi testi della Scrittura noi affermiamo, senza alcuna esitazione (dopo quasi vent’anni di attento studio sull’argomento in spirito di preghiera) che la Parola di Dio insegna inequivocabilmente sia la Predestinazione che la Riprovazione, o, per usare le parole di Calvino, “L’elezione eterna è l’atto mediante il quale Iddio predestina alcuni alla salvezza ed altri alla perdizione”.

Avendo così affermato la dottrina della Riprovazione, com’è presentata nelle Sacre Scritture, facciamo ora una o due importanti considerazioni per prevenire gli abusi di questa dottrina ed impedire al lettore di fare delle deduzioni illecite:-

In primo luogo, la dottrina della Riprovazione non significa che Dio si sia proposto di prendere creature innocenti, di renderle malvagie, e poi di dannarle. La Scrittura dice: “Questo soltanto ho trovato: che Dio ha fatto l’uomo retto, ma gli uomini hanno cercato molti sotterfugi” (Ec. 7:29). Dio non ha creato creature peccaminose al fine di distruggerle, perché Dio non può essere accusato di indurre le Sue creature a peccare. La responsabilità e la criminalità risiede nell’uomo. Il divino decreto di Riprovazione contemplò la razza di Adamo come caduta, peccatrice, corrotta, colpevole. Da essa Dio si propose di salvarne alcuni come monumento della Sua grazia sovrana; gli altri Egli determinò di distruggere come esemplificazione della Sua giustizia e severità.  Nel determinare di distruggere questi altri, Dio non fa loro alcun torto. Essi già erano caduti in Adamo, loro rappresentante legale; essi sono dunque nati con una natura peccaminosa, ed Egli li lascia nei loro peccati. Di questo essi non possono lamentarsene. Questo è ciò che essi desiderano. Essi non hanno desiderio alcuno di santità, essi amano le tenebre più che la luce. Dove sta dunque l’ingiustizia in Dio se Dio: “li abbandona alla durezza del loro cuore, perché camminassero secondo i loro piani” (Sl. 81:12).

In secondo luogo la dottrina della Riprovazione non significa che Dio si rifiuti di salvare coloro che di tutto cuore desiderano la salvezza. Il fatto è che i reprobi non hanno alcun desiderio per il Salvatore. Essi non vedono in Lui alcuna bellezza da farglielo desiderare. Essi non  verranno comunque a Cristo. Perché mai Dio dovrebbe in questo forzarli? Egli non respinge nessuno che veramente Lo cerchi – dov’è dunque l’ingiustizia in un Dio che predetermina il loro giusto tragico destino? Nessuno sarà punito se non per le proprie iniquità: dov’è allora questa presunta crudeltà tirannica della divina procedura? Ricordate che Dio è il Creatore dei malvagi, non della loro malvagità. Egli è l’autore del loro essere, non Colui che infonde loro il peccato.

Dio non forza i malvagi a peccare (come qualcuno ci calunnia di dire), come un fantino che sprona a correre un cavallo che non ha alcuna intenzione di farlo. Dio dice loro, in effetti, questa terribile parola: “Lasciateli” (Mt. 15:14). Egli solo deve allentare le provvidenziali cinghie della Sua ritenzione, sospendere l’influenza della grazia salvifica, e l’apostata presto e più che certamente, di sua propria volontà, cadrà per le sue iniquità. Il decreto della riprovazione, quindi, non interferisce con le pulsioni naturali della natura decaduta, né gli serve per renderlo inescusabile.

In terzo luogo, il decreto della Riprovazione non è affatto in conflitto con la bontà di Dio. Sebbene i non eletti non siano oggetto della Sua bontà, allo stesso modo o fino al punto in cui lo sono gli eletti, essi non ne sono del tutto esclusi. Essi godono delle buone cose della divina Provvidenza (benedizioni temporali) in comune con i figli di Dio, e molto spesso ad un grado persino maggiore. Forse che questo ha l’effetto di migliorarli? Nient’affatto, al contrario, come afferma Romani 2:4,5: “disprezzi le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza e della sua costanza, non riconoscendo che la bontà di Dio ti spinge al ravvedimento? Tu, invece, con la tua ostinazione e con l’impenitenza del tuo cuore, ti accumuli un tesoro d’ira per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio”. Su quale giusta base, quindi, possono essi mormorare per non essere oggetto della Sua benevolenza nelle infinite età a venire? Inoltre, se non si pone in conflitto con la misericordia e longanimità di Dio il fatto d’aver Lui lasciato le intere schiere degli angeli decaduti (2 Pietro 2:4) in condizione di colpevolezza per la loro apostasia, è ancor meno in conflitto con le divine perfezioni lasciare nei loro peccati parte dell’umanità decaduta e punirla per questo.

In ultimo luogo è necessaria una parola di avvertimento: è del tutto impossibile per chiunque fra noi, durante l’attuale vita, sapere per certo chi si trovi fra i reprobi. Noi non dobbiamo giudicare alcuno, non importa quando empio e malvagio possa essere. Anche il peccatore più vile potrebbe, per quanto ne possiamo sapere, essere incluso nell’elezione di grazia ed essere un giorno vivificato dallo Spirito di grazia. I nostri ordini di marcia sono chiari, e guai a noi se li trascuriamo: “Predicate l’Evangelo ad ogni creatura”. Quando avremo fatto questo, le nostre vesti saranno pulite. Chi rifiuta di prestarvi ascolto, essi saranno responsabili del loro sangue: “Noi siamo infatti davanti a Dio il profumo di Cristo fra quelli che sono sulla via della salvezza e fra quelli che sono sulla via della perdizione; per questi, un odore di morte, che conduce a morte; per quelli, un odore di vita, che conduce a vita. E chi è sufficiente a queste cose?” (2 Co. 2:15,16).

Non ci rimane ora che considerare un certo numero di testi biblici che di solito vengono addotti con la speranya di negare che Dio abbia riservato certi vasi alla distruzione, o stabilito che alcuni debbano essere condannati. Citiamo dapprima:

Ezechiele 18:31: “Gettate via da voi tutte le vostre trasgressioni per le quali avete peccato; fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo; perché dovreste morire, casa d’Israele?”. Su questo brano non possiamo fare meglio che citare alcuni commenti di Augustus Toplady: “Su questo brano insistono molto frequentemente, ma inutilmente, gli arminiani, come se fosse un martello che con un sol colpo potrebbe far crollare un intero edificio. Il fatto sta che qui il termine ‘morire’ non si riferisce né alla morte spirituale, né alla morte eterna. Questo è abbondantemente chiaro dall’intero tenore del capitolo. La morte a cui il profeta fa riferimento è una morte politica, una morte di prosperità nazionale, di tranquillità e sicurezza. Il senso della domanda è precisamente questo: ‘Che cos’è che ti rende così innamorato dell’esilio, del bando e della rovina civile? Se ti astenessi dal culto delle immagini, come popolo, potresti evitarti queste calamità, ed una volta di più renderti una nazione rispettabile. Ti attraggono così tanto le miserie della devastazione pubblica tanto da farne tua determinazione? Perché vorresti morire, morire come Casa d’Israele, considerata come nazione politica?’. E’ così che Iddio perora il caso, e poi aggiunge: ‘Io non trovo piacere alcuno nella morte di colui che muore, quindi convertitevi, e vivrete’. Questo implica: in primo luogo che l’esilio della nazione israelita non aggiunse nulla alla felicità di Dio. In secondo luogo, se gli israeliti avessero abbandonato l’idolatria, non sarebbero morti in una nazione ostile e straniera, ma sarebbero vissuti in pace nel loro paese, godendo delle libertà di popolo indipendente”. A questo potremmo aggiungere come in quel brano di fatto si parli solo di morte politica, per la semplice ragione che essi erano già spiritualmente morti!

Matteo 25:41 è spesso citato per mostrare come Dio non avrebbe riservato certi vasi per la distruzione: “Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli!” (Mt. 25:41). Di fatto, questo è uno dei principali versetti su cui ci si basa per contestare la dottrina della riprovazione. La parola maggiormente in rilievo qui, però, non è “per”, ma “diavolo”. Questo versetto (vedi contesto) presenta la severità del giudizio che attende i perduti. In altre parole, il testo esprime quanto temibile sia il fuoco eterno, piuttosto che chi ne è destinato. Se il fuoco è stato “preparato per il diavolo ed i suoi angeli”, allora deve essere proprio spaventoso! Se il luogo dell’eterno tormento in cui i dannati saranno gettati è lo stesso che dovrà soffrire il nemico numero uno di Dio, allora quel luogo sarà veramente sconvolgente!

Atti 5:31. Alcuni dicono: “Se Dio ha eletto a salvezza solo alcuni, perché troviamo scritto che “Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano”?  Che Dio comandi agli uomini d’ogni luogo di ravvedersi non è altro che dimostrazione di chi Lui sia come Governatore del mondo. Come potrebbe Egli fare meno di dire così, visto che uomini d’ogni luogo hanno peccato contro di Lui? Inoltre, se Dio comanda che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, questo conferma l’universalità della responsabilità umana. Questo testo biblico, però, non dichiara che Dio si compiaccia di “concedere ravvedimento” a tutti e dovunque. Il fatto che Dio non accordi a tutti il ravvedimento, è chiaro dalle parole di 2 Ti. 2:25: “Deve istruire con mansuetudine gli oppositori nella speranza che Dio conceda loro di ravvedersi per riconoscere la verità”.

1 Ti. 2:4. Altri dicono: “Se Dio ha ‘ordinato’ che solo alcuni raggiungano la vita eterna, allora perché leggiamo che Dio: “vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità”? La risposta è che le parole “tutti” e “gli uomini” sono nella Bibbia spesso usate in senso generale e relativo. Esaminate attentamente i segg. brani: Marco 1:5; Gv. 6:45, 8:2;  At. 21:27; 22:15; 2 Co. 3:2 ecc. e troverà prova completa di quanto noi affermiamo. 1 Timoteo 2:4 non può insegnare che Dio vuole la salvezza di tutta l’umanità, altrimenti tutta l’umanità sarebbe salvata: “Quello che desidera, lo fa” (Gb. 23:12).

At. 10:34. “Non è forse vero che, come dichiara spesso la Scrittura che:“In verità comprendo che Dio non ha riguardi personali”? Rispondiamo, certo: questo è provato dalla stessa grazia predestinante. I setti figli di Jesse, sebbene più vecchi e fisicamente superiori a Davide, sono scartati, mentre il giovane pastorello è esaltato sul trono d’Israele. Gesù passa oltre a scribi e ad esperti della legge, per chiamare ad essere apostoli dell’Agnello dei pescatori ignoranti. La verità di Dio è nascosta ai saggi ed ai prudenti, ed è rivelata, invece, ai piccoli. La grande maggioranza dei saggi e dei nobili è ignorata, mentre i deboli, i meschini, i disprezzati, sono chiamati e salvati. Pubblicani e prostitute sono invitati dolcemente a partecipare alla festa dell’Evangelo, mentre il Fariseo che si riteneva superiore viene lasciato perire nella sua immacolata moralità. Dio non ha riguardi personali, perché allora non avrebbe salvato me. 

Che la dottrina della riprovazione sia un “parlare duro” per la mente carnale, lo si comprende facilmente. E’ forse più “dura”, però, che lo stesso castigo eterno? Abbiamo cercato di dimostrare che questo sia chiaramente insegnato dalla Scrittura, e non ci è consentito di cogliere dalla Scrittura solo le dottrine che ci fossero gradite. Coloro che sono inclini ad accogliere solo quelle dottrine che a loro giudizio paiono più accettabili e respingono quelle che non comprendono pienamente, si rammentino le altrettanto dure parole del Signore, che disse: “O insensati e lenti di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette!” (Lu. 24:25). Sono insensati perché lenti di cuore, non perché siano lenti di comprendonio!

Avvaliamoci ancora una volta di ciò che disse Calvino: “Le cose che fin ora ho esposto, non sono altro che quelle che la Scrittura proclama senza alcuna oscurità o ambiguità. Chi, di fronte ad esse, dovesse esitare, che non accusi di ignominia quegli oracoli del cielo! Faccia molta attenzione a come vocifera la sua opposizione, perché, se volesse far sfoggio di ignoranza ed essere lodato per la propria modestia, quale maggiore esibizione di orgoglio, anzi, quello potrebbe essere perché così solo sfiderebbe l’autorità di Dio! Magari dirà: ‘A me sembra diversamente’, oppure: ‘Faremmo meglio a non immischiarci con queste questioni’. Se però essi apertamente censurano la Scrittura su queste questioni, non sarebbe questo un patetico attentato al cielo?  La loro petulanza, senza dubbio, non è nuova, perché in ogni tempo vi sono stati uomini empi e profani, che hanno fatto virulenta opposizione a questa dottrina. Essi, però, sentiranno la verità di ciò che lo Spirito, tempo fa, dichiarò per bocca di Davide: ‘Sei giusto quando parli, e irreprensibile quando giudichi’ (Sl. 51:4). Davide si riferisce indirettamente alla follia di quegli uomini che manifestano una tale eccessiva presunzione nonostante siano del tutto insignificanti, non solo di contestare Dio stesso, ma di arrogarsi da sé il potere di condannarlo. Al tempo stesso, egli brevemente suggerisce che Dio non è minimamente turbato da tutte le bestemmie che essi scaricano contro il cielo,ma che Egli dissipa le nebbie della calunnia, e manifesta così la Sua illustre giustizia. La nostra fede, è fondata sulla divina Parola, ed è perciò superiore a tutto il mondo. Dalle sue altezze guarda giù a quelle nebbie con disprezzo”  ( Giovanni Calvino).

Prima di chiudere questo capitolo,vi proponiamo di considerare alcuni fra gli scritti di diversi teologi autorevoli sin dal tempo della Riforma. Non che con questo noi si voglia trovare appoggio presso autorità umane,per quanto venerabili ed antiche siano, ma al fine di mostrare come ciò che abbiamo esposto in queste pagine, non è una novità del ventesimo secolo, non è una “eresia degli ultimi giorni”. Al contrario, si tratta di una dottrina formulata chiaramente e comunemente insegnata da molti, fra i più pii ed istruiti eruditi delle Sacre Scritture”.

“Chiamiamo predestinazione il decreto di Dio, mediante il quale Egli ha determinato in Sé stesso che ne sarebbe stato d’ogni individuo dell’umanità. Perché noi non siamo stati tutti creati con un destino simile, ma alcuni sono stati preordinati alla vita eterna, e altri all’eterna dannazione. Ogni uomo, quindi, essendo creato per l’uno o l’altro di questi fini, noi diciamo, è predestinato alla vita o alla morte” (Dalle “Istituzioni” di Giovanni Calvino (1536), libro III cap. 21, intitolato: “L’elezione eterna con cui Dio ha predestinato gli uni alla salvezza e gli altri alla dannazione”.Chiedo al lettore di notare bene quanto abbiamo citato. Basterebbe solo questo per eliminare l”accusa che mi si fa di ‘ipercalvinismo’. Non si tratta di ‘ipercalvinismo’, ma di Calvinismo puro e semplice. Il nostro scopo nell’osservare questo è di mostrare come coloro a cui non sono familiari gli scritti di Calvino possano, nella loro ignoranza condannare come ultra-Calvinismo ciò che semplicemente è una ripetizione di ciò che disse Calvino stesso – ripetizione, perché quel principe dei teologi, come pure il suo umile debitore, hanno entrambi trovato questa dottrina nella stessa Parola di Dio.

Martin Lutero, nella sua eccellentissima opera: “Il Servo arbitrio”, scrisse: “Tutte le cose sorgono e dipendono da ciò che Dio ha stabilito. Infatti, è stato preordinato chi dovesse ricevere la Parola della vita, e chi dovesse rispetto ad essa rimanerne incredulo; chi dovesse essere liberato dai suoi peccati e chi dovesse esserne condannato. Questa è la stessa verità che distrugge al suolo dalle sue fondamenta la dottrina del libero arbitrio, cioè quella che afferma l’amore eterno di Dio verso alcuni uomini, ed il Suo odio verso altri. Tutto ciò è immutabile e non può essere rovesciato”.

John Fox, il cui “Libro dei Martiri” è stata una delle opere meglio conosciute nella lingua inglese (e che oggi così purtroppo non è più, proprio quando il Cattolicesimo sta operando devastazioni simili ad un maremoto), scrisse: “La predestinazione è l’eterno decreto di Dio, mediante il quale Egli si propose ciò che dovesse avvenire a tutti gli uomini, o la salvezza, o la dannazione”.

Il “Catechismo maggiore di Westminster” (1688), adottato dall’Assemblea Generale della Chiesa Presbiteriana, dichiara: “Dio, con un decreto eterno ed immutabile, per il semplice Suo amore, per la gloria della Sua gloriosa grazia, da essere manifestato a suo tempo, ha eletto alcuni angeli alla gloria, ed in Cristo ha scelto alcuni uomini destinandoli a vita eterna, come pure i mezzi a questo finalizzati. Allo stesso modo, secondo il Suo potere sovrano e l’insondabile consiglio della Sua volontà (per cui Egli estende o nega il Suo favore a chi vuole), è passato oltre, e ha preordinato il resto al disonore ed all’ira, inflitti per il loro peccato, a lode della gloria della Sua giustizia”.

John Bunyan, autore de “Il pellegrinaggio del Cristiano”, scrisse un intero volume sulla “Riprovazione”. Da esso traiamo un breve estratto: “La Riprovazione è stabilita prima che una persona venga al mondo od abbia fatto alcunché di bene o di male. Questo è messo in rilievo da Romani 9:11. Qui trovate due gemelli nel seno della loro madre, entrambi che ricevono il loro destino, non solo prima di aver fatto il bene o il male, ma prima che ancora fossero nella capacità di farlo, quando ancora non erano nati – il loro destino, dico, il primo alla benedizione della vita eterna e l’altro no; il primo eletto, l’altro riprovato; il primo scelto, l’altro rifiutato”.

Nei suoi “Sospiri dall’Inferno”, John Bunyan pure scrisse: “Chi continua a respingere e disprezzare la Parola di Dio sono coloro che, per la più gran parte, sono destinati ad essere dannati. 

Commentando su Romani 9:22: “Che c’è da contestare se Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza dei vasi d’ira preparati per la perdizione”, Jonathan Edwards (Vol. 4, p. 306 – nel 1743) scrive: “Quanto deve apparire tremenda la maestà di Dio nel terrore della Sua ira! Questo possiamo apprendere come uno dei fini della dannazione dei malvagi”.

Augustus Toplady, autore di “Rocca eterna della fe’”, come pure di altri sublimi inni, scrisse: “Dio, da ogni eternità, ha decretato di abbandonare nei loro peccati alcuni della posterità decaduta di Adamo, e di escluderli dalla partecipazione a Cristo ed ai Suoi benefici”. Ancora: “Noi, con le Scritture, affermiamo che vi è una predestinazione di persone particolari alla vita, per la lode della gloria della grazia divina; come pure vi è una predestinazione di altre persone particolari alla morte, per la gloria della giustizia di Dio – alla cui morte e punizione essi dovranno sottostare invariabilmente e giustamente, a causa dei loro peccati”.

George Whitefield, campione della fede nel 18mo secolo, usato da Dio per la benedizione di così tante persone, scrive: “Senza dubbio alcuno, la dottrina dell’elezione e della riprovazione devono stare l’una accanto all’altra, reggersi o cadere assieme… Francamente io riconosco di credere alla dottrina della Riprovazione, che Dio intende dare grazia salvifica, attraverso Gesù Cristo, solo ad un certo numero di persone, e lasciare il resto dell’umanità, dopo la caduta di Adamo, ad essere giustamente lasciati a vivere nel peccato, dovendo poi soffrire quell’eterna morte che è il salario più appropriato”.

“Preparati per la perdizione” (Ro. 9:22). Dopo aver ammesso che questa frase possa essere interpretata in due modi diversi, il dott. Hodge – il commentatore forse più conosciuto e letto di Romani – dice: “L’altra interpretazione presume che il riferimento sia a Dio e che la parola usata in greco per ‘preparati conservi tutta la sua forza di participio: preparati (da Dio) per la perdizione”. Il dott. Hodge poi dice: “Questa concezione è adottata non solo dalla maggior parte degli agostiniani, ma anche da molti luterani.

Se fosse necessario, siamo pronti a fornire citazioni dagli scritti di Wycliffe, Hus, Ridley, Hooper, Cranmer, Ussher, John Trapp, Thomas Godwin, Thomas Manton (cappellano di Cromwell), John Owen, Witsius, John Gill (predecessore di Spurgeon), e innumerevoli altri. Menzioniamo questo, semplicemente per mostrare come gran parte dei santi delle epoche passate, uomini ampiamente usati da Dio, sostennero ed insegnarono questa dottrina tanto oggi odiata, oggi quando molti “non sopportano più la sana dottrina”, odiata da uomini di alta presunzione ma che, nonostante la loro conclamata ortodossia e pietà, non sono degni di scikogliere i legacci dei sandali dei più fedeli e impavidi servitori di Dio in  altre generazioni.

“Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie! Infatti, «chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, si da riceverne il contraccambio?». Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen¨ (Ro. 11:33-36).

Questo testo è il capitolo 5 del libro "La Sovranità di Dio" di Arthur Pink, tradotto da Paolo Castellina. Per scaricare il libro in pdf o acquistarlo cartaceo, cliccare qui

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[1] La Nuova Riveduta traduce così questo versetto: “Il SIGNORE ha fatto ogni cosa per uno scopo;anche l’empio, per il giorno della sventura”, allo stesso modo la CEI: “Il Signore ha fatto tutto per un fine, anche l’empio per il giorno della sventura”. La Diodati, però: “Il Signore ha fatto ogni cosa per sè stesso; Eziandio l’empio per lo giorno del male”.

[2] Da cui, secondo altre traduzioni: “Solo voi ho scelto”.

[3] “Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha riconosciuto già da prima” (NR).

[4] Così la TILC: “Dio non ha respinto il suo popolo che aveva scelto ed amato fin dall’inizio”.

[5] “Invece io ti ho lasciato vivere per questo: per mostrarti la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato su tutta la terra” (ND); “proprio per questa ragione, ti ho risparmiato, per mostrarti la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato su tutta la terra” (ND).

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