giovedì 19 gennaio 2017

Ebrei 3:14 insegna che se non riteniamo la fede perdiamo la salvezza?



"Noi infatti siamo divenuti partecipi di Cristo, a condizione che riteniamo ferma fino alla fine la fiducia che avevamo da principio" (Ebrei 3:14). Questo versetto viene usato molto spesso dai perdizionisti (sostenitori della perdita della salvezza) per affermare che se il credente non ritiene la
fede, va in dannazione. Ma è davvero questo il significato del versetto in questione? Il verbo "siamo divenuti partecipi di Cristo" è al passato perché riguarda il momento della salvezza ricevuta, della nostra nuova nascita. Questo ci fa capire senza ombra di dubbio che la condizione della salvezza (glorificazione) finale è strettamente legata all'essere divenuti partecipi di Cristo, e quindi all'essere stati salvati. Noi siamo stati salvati se persevereremo fino alla fine, altrimenti dimostreremo di non essere mai stati resi partecipi di Cristo, quindi di non essere mai nati di nuovo.

Certamente nel brano c'è una condizione "a condizione che riteniamo ferma sino la fiducia" ma ciò che è in discussione nel testo non è la salvezza escatologica alla fine dei tempi, ma la condizione attuale di essere partecipi di Cristo o di non esserlo (certamente chi non è partecipe di Cristo non è neppure salvato, ma non è questo il fulcro del discorso). La caratteristica fondamentale e certa di chi è partecipe di Cristo affermata da Paolo in Ebrei 3:14 è che ritiene ferma sino alla fine la fede che aveva dal principio, troviamo peraltro lo stesso concetto insegnato anche altrove nelle Scritture.

"Chiunque è nato da Dio non persiste nel commettere peccato, perché il seme divino rimane in lui, e non può persistere nel peccare perché è nato da Dio" (1Giovanni 3:9)

Ma che dire di chi non ritiene la fede sino alla fine?

"Chiunque persiste nel peccare non l'ha visto, né conosciuto" (1Giovanni 3:6)

Si tratta di un falso convertito, di qualcuno che è ancora figlio del diavolo. Per potersi dire "partecipi di Cristo" è necessario il mantenimento della fede, ma qualora la fede venisse a mancare, avremmo qualcuno che si professava partecipe, senza esserlo.

"Professano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti, essendo abominevoli e ribelli, incapaci di qualsiasi opera buona" (Tito 1:16)

Quando questo insegnamento biblico viene dato ai perdizionisti, essi lo ignorano totalmente, non analizzano alcun versetto nel merito e si ostinano a dire con foga ed ansia che il brano insegna che c'è una condizione da ottemperare per potersi dire partecipi

Sembrano incapaci di capire che nessuno sta mettendo in discussione che il credente deve ritenere la fede, noi infatti seguiamo la Bibbia ed insegniamo ai credenti a perseverare nella fede, non certo ad abbandonarla. La differenza è che per i perdizionisti la perseveranza è condizione necessaria per poter "mantenere una salvezza che altrimenti viene loro tolta", mentre per la Parola di Dio la perseveranza nel ritenere la fede è la normale condizione di chi è partecipe di Cristo mediante la nuova nascita

Mentre la Bibbia esorta alla vera conversione che porta frutti, i perdizionisti e legalisti esortano a concentrarsi sulle opere umane che creano soltanto dubbi ed autocommiserazione. Il cristiano che conosce la Parola, se si trova nel peccato mette in dubbio la genuinità della sua conversione. Se è nato di nuovo ed è caduto si rialza, se non lo è si converte e nasce di nuovo. Al contrario il cristiano perdizionista e legalista, se si trova nel peccato non mette mai in dubbio la genuinità della sua conversione e pensa soltanto a comportarsi meglio, in questo caso se non è nato di nuovo si affaccenderà soltanto in opere inutili che lo affosseranno ancora di più. Per questo la dottrina della perdita della salvezza è un'eresia distruttiva da odiare e combattere con tutte le nostre forze, perché ha portato molte anime all'inferno che hanno passato la vita a darsi da fare per migliorare il proprio comportamento senza mai chiedersi se c'era stata in loro una genuina nascita dall'alto mediante la fede in Gesù. Per chi non è convertito è inutile interrogarsi sulle opere, deve esaminarsi e guardare alla sua condizione di fede, dato che è soltanto questo che fa la differenza. 

Possiamo concludere dicendo che il motivo per cui siamo salvati non è la perseveranza o l'osservanza dei comandamenti. I giudei ribelli che non entrarono nella terra promessa non caddero per i loro peccati, ma esclusivamente per mancanza di fede "Noi vediamo che non vi poterono entrare per l'incredulità" (Ebrei 3:19) dato che il giudizio di Dio cade sugli increduli, non sui credenti che non mantengono il patto "Quando sarà venuto, egli convincerà il mondo di peccato, di giustizia e di giudizio. Di peccato, perché non credono in me" (Giovanni 16:8-9) "Se lo rinneghiamo (dimostrando di non avere creduto), egli pure ci rinnegherà. Se siamo infedeli, egli rimane fedele" (2Timoteo 2:12-13).

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